L’archivio di Giorgio: dal taccuino, riflessioni e pensieri

In confidenza Giorgio commenta le sue scoperte, le sue sorprese e i suoi dubbi, la quotidianità dei progetti all’Università e all’Olivetti con le loro difficoltà e le loro contraddizioni. Scorrere le note di Giorgio ci permette di leggere con occhi diversi i documenti e scoprire quello che non sempre le carte ufficiali riportano.

Il taccuino è un diario su cui Giorgio ritorna: lo rilegge, lo corregge o lo commenta con il senno di poi. Nel nostro lavoro di riordino e pubblicazione, riportiamo le note di Giorgio in ordine cronologico inverso lasciando traccia, dove possibile, dell’evoluzione del testo nel tempo. Eventuali note di redazione sono indicate fra [].


La missione INAC in visita alla sede IBM di New York, da sinistra: Signorini, Fichera, Pennel (IBM), Canepa, Picone, de Finetti, Hurd (IBM)

Il tamburo magnetico della II CEP, brevetto Olivetti, la sezione trasversale e i dettagli delle testine di lettura/scrittura

4 giugno 1955

Mi sono fatto raccontare da Michele Canepa le origini del laboratorio Olivetti di New Canaan. Sembrava invitato a nozze, io sto vivendo un’avventura incredibile, ma dall’entusiasmo del suo racconto è lampante che molti altri sono stati più pionieri di noi.
Con il prof. Picone (deve essere un tipo, ne parla con gran deferenza) e gli altri dell’Istituto delle Applicazioni per il Calcolo di Roma hanno attraversato l’oceano (in nave) e da agosto a ottobre 1950 hanno visitato laboratori e centri di ricerca a New York, Boston, Chicago, Los Angeles, Washington. Allora (neanche 5 anni fa) veri calcolatori commerciali praticamente non ne esistevano, era ancora tutta ricerca. Hanno conosciuto gli scienziati più famosi, almeno da questa parte dell’Atlantico: Herman Goldstine, Ida Rodhes, John Von Neumann, Howard Aiken, Wallace Eckert, Cuthbert Hurd... Poi Canepa e altri dell’INAC sono rimasti qua, a coltivare contatti e collaborazioni. Nel 1952 Dino Olivetti aprì il laboratorio di New Canaan e mise Canepa a dirigerlo.
Picone invece, nello stesso anno, arrivò a un passo da una collaborazione prestigiosissima: costruire un Mark V a Roma, insieme a Aiken e all’Università di Harvard, la Olivetti sarebbe stato il socio industriale [ndr: vedi fonti], ma alla fine non trovarono finanziamenti sufficienti.
Egoisticamente ho pensato menomale, così ora tocca a noi. Me ne vergogno un po’, ma il trasporto di Canepa nel rievocare la “missione” come la chiama lui, mi ha elettrizzato. Mi si sta prospettando un’occasione incredibile, ce la devo mettere tutta!
[ndr: aggiunta post. sett. 1959, vedi fonti] Il Laboratorio di New Canaan ha ottenuto il brevetto per il tamburo magnetico che hanno progettato e che useremo per la seconda CEP, Canepa ce ne ha mandato una copia. Bell’arnese, per la CEP progettano una capacità di 32 mila parole a 36 bit, o come preferiamo misurarli in Olivetti, quasi 200 mila caratteri. Peccato però non avere i dischi come l’IBM 305 RAMAC che di caratteri ne possono memorizzare 5 milioni (e ne hanno venduti già centinaia). Sempre a inseguire... all’Università mancano i fondi, ma all’Olivetti si fanno grandi investimenti, non dobbiamo fermarci.


Una scheda della versione completamente a transistor dell’IBM 604

3 giugno 1955

Quel che mi aveva detto Ella di IBM mi ha messo ansia. In questi giorni a New Canaan mi sono fatto dare altre informazioni: è anche peggio.
Mi ha detto Canepa che, oltre IBM e Burroughs, bisogna tenere d’occhio anche la Sperry Rand (quella di UNIVAC), la National Cash Register che due anni fa si è comprata la Computer Research Corporation (loro il 102A acquistato dal Politecnico di Milano), la Datamatic che è di Honeywell e Raytheon entrambi agganciatissimi nelle commesse militari... nessuno all’altezza di sua maestà IBM, ma tutti comunque colossi.
Senza contare che pure l’elettronica corre, è praticamente certo che i transistor sostituiranno le valvole, l’IBM lo scorso ottobre ha dimostrato pubblicamente una versione del suo 604 (di quello a valvole ne hanno venduti già diverse centinaia) realizzata completamente con questi nuovi componenti; il TRADIC, un altro tutto a transistor e compattissimo (è dei militari, per essere montato sugli aerei), è in funzione da più di un anno 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana con elevatissimi livelli di affidabilità. Neanche sono segreti, sono cose già pubblicate, Canepa mi ha dato un articolo, un altro, quanto dovrò, anzi dovremo, studiare [ndr: vedi fonti]. Già mi era parso uno svantaggio incolmabile l’elenco di macchine compilato da Caracciolo alla fine della sua relazione [ndr: vedi fonti]. Capisco il valore di questo laboratorio che l’Olivetti ha qua in USA, è un osservatorio utilissimo, ma mi chiedo cosa vogliamo fare noi che a Pisa siamo ancora quattro gatti.
Eppoi è diverso il contesto, qua ci sono università e centri di ricerca prestigiosi, ci sono risorse e finanziamenti, istituzioni e industrie fanno e sostengono la ricerca, quelli che fanno meno comunque acquistano: dagli impianti di Endicott, dove assemblano l’IBM 650 (un altro, ma quanti modelli hanno?), esce quasi una macchina al giorno!
Con Ella ormai c’è più confidenza, le ho chiesto perché mai ha lasciato l’IBM. Seria, ha detto che il futuro non si raggiunge mai, essere in testa non vuol dire molto in una corsa che non ha fine, per la ricerca l’importante è esserci. Poi ha riso e ha aggiunto che lei preferisce inseguire.


L’IBM 704 installato all’IBM Buiding

Immagine promozionale della calcolatrice programmabile Burroughs E101

29 maggio 1955

Con Mario abbiamo pranzato a Central Park, poi nel secondo pomeriggio lui aveva da organizzare per andare domani a New Canaan, perciò ci ha raggiunti Ella Thompson e sono rimasto con lei.
Speravo di fare il turista, ma mi ha portato a vedere la sede IBM che è a due passi, all’incrocio fra la Madison e la 57esima, e di lì non ci siamo mossi: IBM di qui, IBM di là abbiamo fatto ora di cena. La sede è un palazzone di 20 piani, pochini per NY ma imponente. Notevole l’installazione in vetrina del 704 (finalmente vedo dal vivo una macchina come quella da fare a Pisa!). È dal 1948 che IBM mostra qui la sua macchina di punta, il primo esibito è stato il SSEC, poi il 701, ora il 704. E curano moltissimo il design, fin dal ’44 quando fecero carrozzare da Norman Bell Geddes il Mk1 costruito insieme ad Harvard. Geddes non lo conoscevo, ho capito che era un architetto famoso e visionario, anche che la Thompson ha una certa ammirazione per gli architetti perché rendono bello l’utile.
La divagazione artistica è durata poco, siamo ritornati subito alle meraviglie dell’IBM. Per me sono tutte cose da imparare, ho preso il taccuino per appuntarmi almeno le sigle, cosa che l’ha divertita molto. Mi ha accennato a progetti con i militari, a collaborazioni con il MIT, a “linguaggi” di programmazione, ma mi ha detto che per correttezza con il suo precedente datore di lavoro non può dire di più. Mi ha dato però un riferimento sull’addizionatore “furbo” del 701, essendo un articolo pubblicato non è riservato [ndr: vedi fonti, sarà usato per gli addizionatori delle CEP].
Era invece dispiaciuta che non fosse in mostra il 740 CRT Recorder, è in vendita da ottobre, non è più segreto e me lo avrebbe fatto vedere volentieri per stupirmi: sembra un televisore, ma le immagini le crea il 704, si vedono in diretta sullo schermo e si possono registrare su pellicola.
In effetti bello, ma poco utile, ho commentato: al più serve a far vedere graficamente i risultati di un calcolo. Mi ha spiegato che il calcolo numerico è solo una delle tante applicazioni, la grafica a video può essere usata per interagire con la macchina: il 740 si può usare come il tavolo da disegno di un progettista. IBM per ora non tanto, ma altri (per questo era libera di parlarne) pensano concretamente a un uso “personale” di queste macchine. Mi ha citato le teorie di un certo Vannevar Bush. Mi detto anche che la Burroughs (altra azienda storica), sta lavorando a una calcolatrice programmabile, in parte meccanica in parte elettronica, integrata nella scrivania di un contabile o di un ingegnere. Dovrebbe essere comercializzata a breve con il nome di E101. Ci ho capito poco, ma one-o-one suona bene.
[ndr: annotazione a margine post. genn. 1956] Fra la documentazione che Ella ci ha portato c’è anche un’immagine descrittiva della 101, è ormai un prodotto.


Giovanni Pintori, manifesto per la Lettera 22, 1953

24 maggio 1955

Oggi ho incontrato Adriano Olivetti. Lo avevo sentito in radio e nei racconti di Mario e di Pieri. Vederlo di persona, ascoltarlo, è stato emozionante e sono riuscito a dire poche parole...
Nell’attesa di incontrarlo, la segretaria ci ha fatto accomodare in una sala riunioni piuttosto atipica, per arredi e atmosfera. Quando è entrato il figlio di Adriano, Roberto, e il fratello Dino, il clima si è subito sciolto! C’è molta sintonia con Mario. Abbiamo parlato del progetto che hanno in testa e dei rapporti con l’Università di Pisa. Della filosofia aziendale, ereditata da Camillo Olivetti e aggiornata da Adriano, mi hanno fatto capire meglio la sintesi tra interesse privato e bene collettivo.
Adriano Olivetti ci ha portato a fare una vera e propria visita dello stabilimento. Uscendo dalla sala riunioni ho lanciato uno sguardo nell’ufficio di Adriano Olivetti: sulla scrivania tiene due grandi pile di libri e una enorme quantità di ritagli di giornali. Sembra un tavolo di un artigiano i cui ferri del mestiere sono la carta, le penne e le forbici!
Alla fine mi ha addirittura regalato una Lettera 22 con una frase che mi ha colpito molto: “Ci scriva cose intelligenti, mi raccomando”. Non sono riuscito a dire niente, tanto ero imbambolato! Non ho nemmeno ringraziato. Un’altra delle mie solite figure...


Brochure del Bull Gamma 3B, il primo della serie con una memoria per le istruzioni

23 maggio 1955

In 25 anni di vita, poche volte mi è capitato di allontanarmi da Pisa. Oggi e domani Ivrea, poi con Mario si parte per New York. Mi sembra impossibile che in così pochi mesi tutto sia cambiato. Niente però è scontato: ci sarà da studiare molto e da assorbire da chi ne sa più di me.
Mario mi ha accompagnato a fare una passeggiata per il centro, poi negli uffici della direzione Olivetti. Mi hanno trattato con una cordialità che non mi attendevo. Con Mario hanno parlato diffusamente della Bull, grazie a quell’accordo l’elettronica è entrata in Olivetti. Ottorino Beltrami è al timone dell’operazione (letteralmente, era capitano di Marina). La Bull fa tabulatrici dal ’33, le ultime, le Gamma 3, sono elettroniche e stanno avendo un bel successo: più di 100 consegnate in due anni, la terza al Monte dei Paschi, un vanto per l’Olivetti che è concessionaria Bull per l’Italia.
Però, nonostante le vendite, mi ha spiegato Mario che sono macchine vecchie, di prima dell’idea di macchina universale, niente a che vedere con gli ultimi prodotti fatti in USA e in Gran Bretagna e con quanto vogliamo realizzare a Pisa. Le Bull sono limitate e si programmano cablando un pannello. Un tale Piol in Olivetti è riuscito a fare l’estratto conto scalare con una sola passata di schede, non ci ho capito molto, ma è chiaro che è bravo, gli auguro una brillante carriera.
Ma, dice Mario, nonostante i maghi del pannello, il tempo delle tabulatrici è finito. Vendere le Gamma 3 serve a preparare il mercato per le macchine Olivetti, siamo in ritardo, ma l’opportunità è unica e non dobbiamo perdere tempo, la Bull stessa sta preparando un nuovo modello, la 3B, che avrà una memoria a tamburo magnetico per le istruzioni.
Ho fatto incetta di documentazione sulle Bull, bisognerebbe però andare alla sede di Milano per vederle davvero, forse un’altra volta. Dalle foto si notano un sacco di cavi a terra (li chiamano boa). Curioso, nelle altre foto di macchine che ho visto ci sono solo nella IBM CPC riportata nell’articolo di De Finetti, anche quella una supertabulatrice (la Gamma 3 gli somiglia parecchio).
Nessuna delle macchine più recenti ce li ha.


Il testo della lapide apposta in occasione della Prima Riunione degli Scienziati Italiani (dagli Atti della Riunione)

10 febbraio 1955

Avanzi ha risposto per le rime a Pistolesi. Ho visto la lettera da Pieri. Un testo molto formale, ma chiaro: i fondi non possono andare e non andranno all’edilizia. Da studente il “Magnifico Rettore” si incontra solo nelle domande in segreteria, comprendo ora il suo ruolo e mi stupisce come stia tenendo dritta la barra sul progetto della calcolatrice.
Da qualche giorno sono cominciati a Fisica i seminari sulle calcolatrici elettroniche. Siamo una decina di giovani, alcuni ancora studenti. Prima di una lezione, per caso, ho incontrato Caracciolo. Leggevo una lapide in Sapienza, è passato, si è fermato, abbiamo scambiato due parole: Fibonacci, Galilei, la prima Riunione degli Scienziati Italiani nel 1839, oggi il progetto per la calcolatrice elettronica, sembra esserci un filo sottile ma resistente che lega tutti questi avvenimenti.
Nella sua relazione Caracciolo ha confrontato gran parte delle calcolatrici già realizzate in giro per il mondo. A parte il suo lavoro di documentazione e sintesi, è incredibile come informazioni così importanti possano liberamente circolare. Torna in mente lo spirito che animava gli scienziati della riunione del 1839, italiani quando l’Italia era ancora divisa.
La calcolatrice che vogliono costruire a Pisa potrebbe essere più potente di quelle censite da Caracciolo. Ma bisogna vedere cosa faranno gli altri nel frattempo: la ricerca e le applicazioni corrono veloci. A lezione ci ha detto della possibilità per queste macchine di affrontare problemi complessi e non numerici come il gioco degli scacchi. Uno dei presenti, un po’ saccente, ha fatto presente che a Roma ce ne è una che a scacchi gioca già.
È stato subito freddato: i giornalisti esagerano sempre per fare notizia.
Ci ha spiegato Caracciolo che si tratta della Ferranti acquistata dall’INAC di Picone e che sugli scacchi ci ha lavorato Dietrich Prinz, ma per ora i suoi programmi risolvono “solo” problemi di matto in 3 mosse. Per come vanno le cose però ci sta che fra non molto gli uomini saranno battuti agli scacchi da una macchina. Speriamo serva a liberarci dai compiti noiosi e ci permetta di usare meglio la nostra intelligenza umana.


Palazzo Gambacorti

11 gennaio 1955

Per la prima volta, ieri sono entrato nelle stanze del Sindaco di Pisa. Con il professor Pieri abbiamo incontrato Pagni e il Presidente della Provincia Maccarrone. Io non sono riuscito a dire una parola, Pieri, invece, era proprio a suo agio, aveva con sé il verbale della riunione del CIU del 4 di ottobre, ma non c’è stato bisogno di usarlo.
Mi pare che le residue resistenze siano ormai svanite e il finanziamento sarà destinato alla realizzazione di una calcolatrice elettronica. Che i comuni e le province di Pisa, Lucca e Livorno abbiano deciso di investire ben 150 milioni di lire su un progetto di natura scientifica e tecnologica, lo trovo davvero lungimirante. So che una parte, credo 25 milioni, sarà destinata all’acquisto di uno spettrografo di massa su proposta del prof. Ezio Tongiorgi, ma la gran parte della cifra sarà utilizzata per il nostro progetto.
Pagni avrebbe preferito l’elettrosincrotrone, ritiene che avrebbe dato risalto internazionale alla nostra città. Ma, ormai, mi pare che abbia definitivamente mollato. Ho capito che il Sindaco è stato amico di Fermi e che la lettera ad Avanzi ha contribuito a orientare le sue scelte. Maccarrone mi è parso più “politico” e anche più determinato nell’assumere decisioni.
Di questa prima volta in Palazzo Gambacorti mi porterò anche il ricordo dell’Arno visto dalla finestra del Sindaco... davvero basta alzarsi qualche metro da terra che tutto cambia prospettiva.


Fermi a Varenna (La Nuova Stampa, 20 luglio 1954)

29 novembre 1954

È morto Enrico Fermi. La notizia era nell’aria, vista la grave malattia. Che amarezza non averlo potuto incontrare personalmente, non ero ancora nato quando ha studiato a Pisa. Dalle parole di Pieri ho capito che la sua lettera ad Avanzi dell’agosto scorso è stata fondamentale per far prendere in considerazione il progetto della calcolatrice elettronica.
Di quel che scrive Fermi voglio ricordare questa frase:

    A questo si aggiungono i vantaggi che ne verrebbero agli studenti e agli studiosi che avrebbero modo di conoscere e di addestrarsi nell’uso di questi nuovi mezzi di calcolo
[30 dicembre 1954] Pieri mi ha confidato un retroscena sulla lettera di Fermi ad Avanzi. Ciò che è noto è che Conversi e Salvini avevano parlato con Fermi e gli altri fisici a Varenna, in occasione della Scuola internazionale, e lì era nata l’idea di usare i fondi per il sincrotrone per costruire una calcolatrice elettronica a cifre. Quel che è meno noto è che la lettera non è stata un’iniziativa di Fermi. Conversi lo afferma senza giri di parole in una circolare inviata ai colleghi:
    Nella lettera che, su richiesta del prof. Bernardini e mia, il prof. Fermi ha inviato al Rettore dell’Università di Pisa...
Fermi si è prestato, consapevole dell’aiuto che le sue parole avrebbero dato a convincere le istituzioni locali e certi ambiti dell’Università. Per certi versi ancor più ammirevole.
Impressiona anche il lavorìo di Conversi e Bernardini per costruire il consenso intorno al progetto, non pensavo che fare ricerca comprendesse anche questo. Ormai sembra fatta, ma come dice Pieri ancora lo dobbiamo vedere nero su bianco.
[ndr: nota post.] Ho trovato su un vecchio giornale una foto di Fermi a Varenna, oltre a lui (primo a destra) si riconoscono la moglie Laura e (secondo da sinistra) Gilberto Bernardini.


Macchine «che pensano» (e che fanno pensare)

Urania n. 18, 20 giugno 1953

20 novembre 1954

Sto cominciando a studiare, mi hanno dato ieri l’articolo di Bruno de Finetti (statistico, lavora per le Generali) pubblicato dall’Università di Trieste. Il titolo disorienta: “Macchine «che pensano» (e che fanno pensare)”. Conversi, quando il 4 ottobre scorso tranquillizzava i membri del CIU:

    nessuna delle macchine finora costruite o progettate è in grado di intuire, di suggerire un’idea nuova, di creare: questo può farlo soltanto il cervello umano... e solo quello di buona qualità!
forse era ispirato proprio da De Finetti che, fin dalle prime righe, si preoccupa di riportare:
    la funzione creativa del pensare rimane intangibile attributo dell’uomo
    [ndr: vedi fonti, p. 2]
De Finetti illustra anche i fondamenti della cibernetica secondo l’americano Norbert Wiener. Discute di cosa s’intenda per intelligenza, con le differenze tra uomo, animale e macchina:
    Quale criterio di distinzione potremmo applicare se ci trovassimo di fronte a un essere di cui si possa soltanto osservare il comportamento, senza comprendere dalle fattezze esteriori, se si tratti di una macchina costruita dall’uomo oppure di un animale?
Le macchine possono pensare, oppure si limitano a eseguire ciò che dice l’uomo? Come dice Conversi in certi ambiti manca pure quella umana, di intelligenza... viene anche in mente Jenkins di “Anni senza fine” [ndr: il romanzo di Simak era uscito su Urania n. 18, nel 1953].
Dalle note vien fuori che se ne discute da un secolo:
    ripete quanto avrebbe detto a proposito della macchina di Babbage, cent’anni or sono, la contessa di Lovelace (matematica, figlia di Byron, spesso citata a tale proposito): «Questa macchina non ha la pretesa di creare alcunché. Essa non può realizzare se non ciò che noi sappiamo metterla in grado di eseguire»
Mi incuriosisce molto questa contessa, ne devo parlare con Angela!


La Domenica del Corriere, 14 nov. 1954

16 novembre 1954 [ndr: con cancellazioni e annotazioni successive]

Ieri Pieri mi ha fatto leggere il discorso di Conversi alla riunione del Consorzio Interprovinciale Universitario del 4 ottobre scorso. Riporto alcune delle sue parole:

    Una moderna calcolatrice elettronica o, come suol dirsi, un cervello elettronico, è una macchina che permette di effettuare con estrema prontezza e precisione calcoli oltremodo complessi e laboriosi. In pochi giorni permette di fornire la risposta a problemi che, affrontati con mezzi ordinari e impegnando un gruppo ben nutrito di persone, non potrebbero essere risolti in meno di mezzo secolo!
Cosa sia davvero una calcolatrice elettronica debbo ancora scoprirlo. Pensare che una macchina possa in pochi giorni fare un calcolo che a mano sarebbe completato nel 2004 (nel terzo millennio!), è incredibile.
Certo Conversi voleva impressionare i sindaci e i presidenti delle province presenti alla riunione e potenziali finanziatori del progetto ma forse ha esagerato un po’ no: la Macchina Ridotta fa 70000 addizioni al secondo, la Marchant, la più veloce delle calcolatrici elettromeccaniche che io conosca, ne fa 1200 al minuto, quindi la MR è 3500 volte più veloce, cioè fa in un giorno quel che l’altra fa in dieci anni! Con pochi = 5 il conto torna e son solo addizioni ripetute! [ndr: dalla cancellazione a qui, nota post. luglio 1957]
Da non dimenticare: evitare di fare battute inutili di fronte ai professoroni, ma la storia dei “sigaroni volanti” pubblicata sulla Domenica del Corriere è troppo bella. Incollo qui la copertina.